Fin da piccolo sono stato sempre molto attivo, mentalmente, ma anche fisicamente.
Quando ero un bambino e spesso passavo il pomeriggio a casa da mia nonna materna, finiva che correvo ovunque e mi arrampicavo anche sui mobili.
Qualcuno quindi diceva “Bisogna che gli facciamo fare qualche sport o ci distruggerà la casa!”.
Ma a quei tempi purtroppo nessuno era in grado di portarmi in piscina o a praticare altre attività sportive consone per i bambini.
Qualche anno più tardi scoprii la passione per esplorare le montagne, a piedi o in bici, grazie alla casa che la mia famiglia ha sugli Appennini, sopra Pistoia, a Sammommè.
Era ormai una tradizione per me d’estate fare mille giri in bici o a piedi, cercando di scoprire ogni volta nuovi percorsi e nuove cose.
Quando ero a Prato succedeva che magari dicevo a mia madre “Vado a giocare nella via accanto!” ed invece salivo con la mountain bike fino in cima alla Calvana, senza che nessuno lo sapesse, senza cellulari all’epoca e rischiando grosso, sia per questi motivi che per altri.
D’estate, ad agosto, mi invece ritrovavo a coinvolgere mio padre in mille avventure, dettate dalla mia voglia di girare le colline vicine all’Abetone.
Una volta giunto alle scuole medie, mi ritrovai in classe con diversi compagni che giocavano nella stessa squadra di calcio, la “Costazzurra – La Querce”.
Insieme ad altri amici con cui stavo sempre insieme, decidemmo di provare ad unirci al gruppo.
Il risultato però non fu dei migliori, probabilmente per svariati motivi che adesso vi illustrerò.
Prima di tutto, a differenza della media degli italiani, non son mai stato comunque un fan del calcio, anche per il mondo che vi è dietro.
Se ciò non bastasse, la squadra in cui eravamo all’epoca era molto scarsa, non tirava una bella aria e in più dovevo fronteggiare il problema degli occhiali, per correggere quella che era già una discreta miopia.
Ho sempre avuto grandi caratteristiche fisiche, spesso superiori agli altri, nonostante certi altri bei difetti e questo faceva sì che nel correre dietro alla palla rispetto agli altri non provavo nessuna fatica.
Il problema però era che essendo completamente nuovo non avevo nessuna tecnica.
Alla palla ci arrivavo e la prendevo, ma magari usando quella strana forza in più che avevo rispetto ad altri nonostante fossi più piccolo, in quanto a dimensioni.
Finì così che mi soprannominarono “Karate Kid“, perché se una palla era alta, non la prendevo di testa, causa occhiali e così via, ma con un calcio che giustamente spesso mancava di poco le teste degli altri giocatori.
A giocare a calcio iniziammo penso d’autunno, ma una volta arrivata l’estate smisi di andare agli allenamenti e tornai a dar alito al grandissimo impulso di prendere la bici e scorrazzare per le colline.
Oltre che per le colline, ovviamente andavo spesso a dei giardini pubblici, insieme a degli amici e alle loro madri, vista l’età.
Fu così che una delle tante volte un professore di ginnastica mi notò e mi chiese se volevo far parte di una squadra di ciclismo su strada.
L’idea in effetti era già balenata ai miei genitori, ormai coscienti del fatto che amavo girellare in bicicletta, proponendo a mio padre percorsi che sembravano improponibili, soprattutto per un bambino.
Eppure con mio padre quando non avevo ancora 13 anni, siamo andati all’Abetone, siamo andati al Passo della Futa e in un’altra miriade di posti meravigliosi.
Ad ogni modo, è evidente, colsi la palla al balzo e accettai la proposta di quel professore di ginnastica.
Fui posto ad un bivio: scegliere se entrare nella “Ciclistica Pratese”, una squadra ben messa su tutti i fronti, più seria e curata, o in una squadra un po’ più tranquilla e alla buona, ovvero quella di Vaiano.
Forse giusto per il fatto che non amavo la gente che faceva troppo la noiosa, scelsi il G.S. Vaiano.
Effettivamente era una squadra più alla buona, ci si divertiva, si stava tranquilli, da ragazzi, non da lavoratori versione ragazzino come in altri casi.
All’epoca infatti succedeva che ti ritrovavi in gara con dei russi per cui chiaramente correre era un mestiere sebbene non avessero neanche 18 anni.
Li dotavano di appartamento, li pagavano, passavano mattina in bicicletta e pomeriggio a far ginnastica o altro che ben tutti sappiamo purtroppo.
Per noi ragazzi “normali” che andavamo a scuola, la quale giustamente restava la nostra attività principale, competere con certa gente tendeva in genere all’impossibile.
Quando a 17 anni, causa cambio di categoria, io ed altri ci siamo ritrovati nella squadra di Vasco Poccianti, la storia non cambiò, in tutti i sensi.
Il clima restò sostanzialmente lo stesso, e ho sempre pensato che fosse meglio così, che ritrovarsi in situazioni poco simpatiche o con nel sangue chissà cosa.
Noi ci siamo divertiti comunque, magari pure più di altri e talvolta abbiamo avuto anche noi le nostre belle soddisfazioni.
Una volta che avevo scelto di entrare a far parte della squadra del G.S. Vaiano, venni affidato dal professore ad un importante ciclista amatore di Carmignano.
Era infatti, se non sbaglio, il maggio del 1995 e la stagione era già nel suo pieno svolgimento.
Questo primo allenatore fece in modo che in un solo mese recuperassi l’allenamento di tutti gli altri compagni di squadra, i quali avevano iniziato già dall’inverno precedente ad allenarsi.
Fu un mese molto duro, dove imparai molte cose, facendo allenamenti da solo che lui mi affidava, oppure direttamente insieme a lui.
Non me ne vogliano gli altri allenatori, ma a mio parere lui fu forse per certi versi il più bravo.
Quando feci i primi allenamenti con la squadra, l’unica cosa che mi mancava era la capacità di fare molti km tutti insieme, ma sostanzialmente avevo recuperato i miei compagni di squadra e non solo.
Fu infatti durante uno dei primi allenamenti che nacque quello che è il mio principale fra infiniti soprannomi: “Nembo“.
A fine allenamento per giocare un po’ usavamo concludere facendo una volata sfidandoci tutti insieme.
Quando cominciammo, in breve rimanemmo io ed altri due compagni di squadra.
Ero dietro di loro, in scia, mentre si davano battaglia, ma in quei pochi secondi pensai che non capivo com’è che si sforzassero tanto, perché sentivo di poter fare molto di più.
Così di punto in bianco, come qualcuno che preme semplicemente sull’acceleratore in auto, mi misi alla loro sinistra, come se cambiassi corsia, e li passai di netto, con facilità.
In quel momento, uno di loro si girò verso di me e un po’ stupito disse “E chi è? Nembo?”.
Quando tornai a casa chiesi a mio padre cosa volesse dire e lui mi spiegò che era in pratica sinonimo di Superman.
Scoprii poi cercando su Internet che “NemboKid” era il nome con cui veniva chiamato Superman quando venne diffuso in Italia il suo fumetto dopo la seconda guerra mondiale.
A quei tempi si “italianizzavano” un po’ le parole, in quanto all’epoca l’inglese era molto più sconosciuto.
Così adottai quel soprannome che venne scritto anche sulle mie ruote per distinguerle più rapidamente da quelle degli altri quando andavamo a fare le gare.
In particolare poi lo usai come nickname su Internet, soprattutto in chat e successivamente, quando scoprii che vi erano altri “Nembo” o “NemboKid” su Internet, prendendo spunto da un mio amico che aveva aggiunto “SS4”, ovvero “Super Saiyan di livello 4”, davanti al suo nickname “Son Goku”, io aggiunsi “SS5” per fare “SS5NemboKid“, in modo che fosse unico.
Il fatto poi che l’SS5 non esistesse nel fumetto inerente per me rendeva quel nickname ancora più bello.
Scene divertenti a parte, va detto che più che altro il primo anno in bici me la cavavo discretamente, in quanto a fisico come altri ero un po’ avanti con la crescita.
Effetto che scomparse subito dopo, con i 15 anni, forse anche per motivi che in questa sede per il momento non tratterò.
Ad ogni modo, con queste squadre “alla buona”, è da precisare che al massimo noi prendevamo qualche vitamina che si trovava al supermercato facilmente.
Ma se sulla scatola c’era scritto 6 pasticche al giorno, noi ne prendevamo 2 se andava bene, mentre “i russi” ne prendevano 12 magari.
Personalmente, tra le varie cose, scoprii di avere l’ematocrito superiore alla media di mio, un po’ alla Pantani, se vogliamo, ma non quanto lui, chiaramente.
Quindi a maggior ragione, dovevo star attento a quel poco che prendevamo per aiutare l’allenamento o avrei sorpassato i limiti consentiti a causa delle mie caratteristiche naturali.
Altri invece, in altre squadre, ne han fatte, lo sappiamo bene, di tutti i colori: punture e flebo all’ordine del giorno.
Per fortuna, come dicevo, noi non abbiamo avuto questo problema.
Non abbiamo avuto forse nemmeno vittorie ogni domenica, ma ripeto che ci diamo divertiti lo stesso, anzi forse pure più degli altri.
Essendo noi, “naturali”, al massimo appunto, a seconda di costituzione ed allenamento, succedeva talvolta che qualcuno andasse un po’ più forte degli altri in squadra, ma niente di eclatante, per intendersi.
Certa gente invece, la vedevi chiaramente passare in salita come se fossero stati in sella ad uno scooter rispetto a tutti gli altri, e questo diceva tutto.
Chiaramente spesso ti faceva anche venir voglia di mollare tutto, però noi avevamo, passione, divertimento, e gioventù quanto bastava.
Arrivato all’età di 18 anni però ero un po’ stanco di quella vita, per diversi motivi.
Si cresce, ci sono le prime ragazze, la scuola si faceva più impegnativa.
D’altronde sebbene fossi tra i migliori alunni anche studiando solo un po’ la sera dopo cena, dopo aver passato un pomeriggio in bici, iniziavo a sentire la fatica, dato che la mia scuola era anche famosa per la sua difficoltà.
Poi si cambiava categoria, si passava nei dilettanti, quelli tra cui poi vengono scelti direttamente i professionisti, insomma quelli che fanno il Giro d’Italia ad esempio.
Non è proponibile in genere di andare a scuola, quando tendenzialmente si deve passare la giornata in bicicletta in una sorta di lavoro, in buona sostanza.
Questo ovviamente, almeno all’epoca, dipendeva anche da quale scuola frequentavi, e la mia come dicevo era senz’altro l’ultima che te lo permetteva, visto che era la più impegnativa del circondario, famosa anche a livello nazionale.
Poi che c’entra, volendo magari si fa tutto, ma ero in ogni caso stanco e così dopo i 18 anni smisi di fare ciclismo agonistico su strada.
Mi iscrissi in palestra, perché m’era presa un po’ la fissa per la ginnastica ed i pesi.
Con me c’erano degli amici e altri ne trovai lì.
Fu un periodo molto bello in generale della mia vita, durante il quale ho vissuto insieme ad amici mille bellissime avventure.
Dopo il primo anno in cui andavo ogni giorno in palestra però iniziavo già ad annoiarmi.
Siccome fin da bambino avevo, come tanti altri, una certa simpatia per le arti marziali, decisi di iscrivermi a Kung Fu e di fare un giorno quello e un giorno la palestra, alternando.
E’ stato il periodo in sono stato meglio fisicamente.
Se già per certi versi ero incredibile, lo fui ancora di più, ero veramente in forma, un fisico stupendo, naturale ed aiutato dall’attività fisica, ammirato più che mai.
A Kung Fu mi iscrissi con mio cugino Alex, ed il giorno in cui lo feci non può essere chiaramente dimenticato, dato che è il famoso 11 settembre 2001!
Ricordo infatti che prima di andare alla scuola di arti marziali ero in palestra, visto che tra l’altro si trovavano vicine l’una all’altra, e alla televisione, sebbene senza audio, iniziarono a passare quelle immagini che comunicavano qualcosa purtroppo fuori dal comune che sarebbe passato alla storia.
Ad imparare il Kung Fu io e mio cugino ci siamo divertiti molto, anche perché le persone, alunni e maestri, erano simpatici ed alla mano.
Abbiamo tutta una serie di ricordi molto carini e divertenti dell’epoca.
Certo sia il Kung Fu, che la palestra od ogni altro sport che abbia poi provato, a me sembrava una vacanza rispetto al ciclismo agonistico su strada e questo contribuiva a divertirmi piacevolmente.
Partecipammo anche ai campionati mondiali relativi all’organizzazione di cui facevamo parte.
Fu un bellissimo evento, sicuramente da vedere, dove effettivamente si trovavano esperti da ogni parte del pianeta.
Come in una sorta di film venivano fuori maestri e scene che sembravano di fantasia.
Gente bravissima ed esperta nel loro campo.
Ci divertimmo molto e ci guadagnammo diversi premi.
Arrivai secondo sia nella gara di forma che nel combattimento di Tai-Chi.
Esatto, perché insieme al Kung Fu, facevamo anche Sanda e Tai-Chi.
Dopo un anno e mezzo circa che facevamo Kung Fu, sia io che mio cugino ci stancammo.
Personalmente smisi anche perché avevo iniziato a studiare all’università Ingegneria Informatica a Firenze, e tra quella ed i primi lavori riguardo siti web ed Internet, sentivo di non essere più sufficientemente libero.
A Kung Fu si doveva tendenzialmente arrivare puntuali e se perdevi una lezione o più era comunque un problema.
Non avevo voglia di altri impegni oltre quelli che già dovevo sostenere, dovevo essere di nuovo libero.
Continuai ad andare in palestra e allo stesso tempo, poco dopo, ricominciai ad andare in bicicletta.
Prima con la mountain bike e poi comprandomi una bicicletta da corsa mia, in quanto quando correvamo ce la dava la squadra.
Per qualche anno sono andato da solo, poi ho approfittato di una voglia che avevo fin da bambino.
Volevo far la Prato – Abetone, una gara per amatori che da adolescente non potevo fare, in quanto non riguardava la mia categoria agonistica.
Così ho aumentato gli allenamenti quanto bastava per affrontare questa ed altre gare amatoriali, riuscendo a portarle a termine anche in modo decente.
Mi sono così divertito vivendo svariate situazioni e sfruttando il tempo e la salute finché ce li avevo.
Non dico che abbia fatto le scelte migliori, dovremmo poter vivere un’infinità di vite parallele per poter far dei veri confronti, però di sicuro mi sono divertito ed ho fatto ciò che volevo.
Nell’autunno del 2010, complici anche problemi di salute che ho dovuto affrontare, ho deciso di smettere di andare in palestra.
Più che altro va detto, che dopo praticamente 10 anni, mi ero stancato anche di quella.
Non si può dire che ci abbia messo poco almeno questa volta!
Il fatto è che non era più divertente come a 18 anni con gli amici a sparare le bischerate.
A praticamente 30 anni le cose sono ad ogni modo su più fronti diverse in genere.
La compagnia non era più la stessa, io non ero più lo stesso e infatti spesso mi pareva di perder tempo dentro ad una scatola dove i criceti correvano sulle ruote pagando per farlo.
Non fraintendetemi, credo nell’esercizio se applicato nel modo giusto, nel cercare di stare in salute e anche nello sparare cavolate per divertirsi.
Ma credo anche che ci sia spesso un abuso, una visione sbagliata, spesso troppo narcisistica, oltre al fatto che là fuori, fuori dalla palestra, è possibile comunque fare tante altre attività sportive, senza nemmeno pagare un soldo.
No, non sono i soldi il problema, però la libertà certe volte aiuta, soprattutto quando si hanno tanti altri impegni che ci premono di più e che sicuramente è più bello e doveroso seguire anziché star rinchiusi ad annoiarsi.
Poco dopo, complice il fatto che sia io, sia altre persone a me vicine, hanno scoperto, seppure a quasi 30 anni, lo sport, vuoi per motivi di salute o altro, ho colto l’occasione e son tornato a fare passeggiate e trekking in montagna, attività che comunque cercavo di fare già quando capitavano vacanze sulle Alpi grazie a mio cugino.
La bicicletta non se n’è mai andata, è stato l’unico sport, insieme alle passeggiate in collina che non mi ha mai stancato.
Cerco semplicemente di fare ciò che mi va quando mi va, altri impegni permettendo.
E’ chiaro che ho un fisico che per ora nonostante i difetti ha avuto anche i suoi notevoli pregi come i suoi difetti.
Del resto come diceva un allenatore di ciclismo dopo alcuni test medici “Sei come una vecchia Fiati 500 con un 1600 montato sopra, come mai non li fai tutti a pezzi?“, la risposta è stata sempre nel fatto che a forza non mi è mai venuto niente, ma le capacità per carità, nel mio piccolo le ho avute e continuo ad averle.
Solo che ora ho una visione più libera e rilassata, se volete più matura, dove cerco comunque sempre di fare attività fisica se possibile e sono sempre pronto a nuove idee.
Qui di seguito potete guardare alcuni video che ho girato durante alcuni allenamenti in bicicletta.
Ultimo aggiornamento: 17/12/2011